Libri

Quando “Grazie” vuol dire “Ce l’ho fatta, e tu no” o peggio ancora

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Marco Rossari su Rivista Studio ha pubblicato un articolo su una particolare componente di ogni libro che può sorprendentemente essere oggetto di interessanti analisi:  dentro al paratesto, cioè ciò che sta intorno al contenuto del libro e accompagna il lettore all’interno delle pagine. sono compresi anche i ringraziamenti, ovvero le formule scelte dall’autore di turno per ringraziare, dedicare, ricordare, salutare, criticare, chiarire. 

Un tempo si trattava di una faccenda innocente, perfino seria: quando un autore classico dedicava il volume a un certo personaggio, estingueva un debito per nulla metaforico

Poi però è diventato un campo in cui straripa la creatività, come se le pagine-argine non reggessero lo spirito del testo e versassero contenuto anche un po’ troppo oltre, nei ringraziamenti, appunto. 

Rossari cita autori che nei ringraziamenti si dedicano l’elaborato, che ringraziano se stessi o gli altri, ma in un modo che rende quel ringraziamento altro. 

ecco quelli che spacciano per riconoscenza le proprie capacità, come Luca di Fulvio: «Grazie a Carla Vangelista, non solo perché come sempre alcuni spunti e nodi fondamentali di questa storia sono frutto del suo straordinario talento creativo, ma perché se sono uno scrittore è merito suo» (il corsivo è mio)

oppure Bruno Arpaia che nei ringraziamenti mette le mani avanti scrivendo

«Lo so, non se ne può più degli autori che alla fine dei loro libri riempiono pagine su pagine per ringraziare colui o colei che ha fatto nascere la scintilla dell’idea per il romanzo, passando dalla bibliotecaria che li ha assistiti amorevolmente al gatto che si è sistemato sulle loro gambe nelle lunghe notti insonni trascorse al computer, per finire poi, immancabilmente, con i ringraziamenti a moglie, marito, compagno, compagna senza il cui appoggio e la cui comprensione queste pagine eccetera eccetera. Ma mettetevi nei miei panni…»

La finta comicità, il banale rivolgersi al lettore che stucca, diventa quasi parte del libro stesso, rendendolo a volte peggiore. C’è anche chi si lancia in in uno spiegone non richiesto dice Rossari, quelli che parlano con i morti, quelli che si rivolgono al proprio animale domestico. O come Sandro Veronesi che nel 2007 ringrazia la moglie per averlo sopportato e poi invece nel 2011 ci ripensa scrivendo di ringraziarla 

non per avermi sopportato, come dicono di solito quelli che ringraziano la moglie

Già, come dicono tutti. Per l’autore dell’articolo in questi casi chi scrive libri e li pubblica perde l’occasione per tacere: preferiscono vomitare in qualche formula antipatica cosa ha significato scrivere quel libro, tutta l’ansia che però adesso è euforia grazie alla pubblicazione. 

Forse perché sul finale si abbassa la guardia o forse perché proprio lì – presuntuosamente – lo scrittore crede di prendere davvero parola dopo quella superflua digressione chiamata “testo”, fatto sta che in quelle poche righe si squadernano sibilline allusioni, pizzini cosmici, frecciate al nulla, orgasmici sottintesi, vaniloqui ambigui.

 

Carolina Cutolo e Sergio Garufi hanno addirittura raccolto in un libro una serie di ringraziamenti spassosi e involontariamente comici. Si intitola Lui sa perché. Fenomenologia dei ringraziamenti letterari dove hanno preso di mira le pubblicazioni italiane degli ultimi vent’anni.

Ritornando appunto a quel grazie, che potremmo chiamare così solo perché sta sotto il più grande titolo Ringraziamenti, a volte assume anche delle fattezze non solo antipatiche, ma addirittura superbe e altezzose, anche qui non volontariamente. 

Come il superstizioso ex voto con il quale un tempo si ringraziava iddio per la grazia ricevuta, ecco il grido d’esultanza scomposta: ho vinto, grazie a tutti, sto per pubblicare con un editore di Manerbio e niente sarà più come prima. Anzi, sono sopravvissuto solo io per ringraziarvi, perché pubblicare è scamparla, uscire a riveder le stelline di Anobii, distinguersi. “Grazie” in questo caso vuole dire anche “ce l’ho fatta” e, a seconda del destinatario, “non sono più come te” oppure “ora sono proprio come te, ipocrita scrittore, mon semblable”.

Poi ci sono ancora quelli che benedicono editori, correttori di bozze… fino ad arrivare al magazziniere. Oppure formule incomprensibili, sfarzose e barocche

Ringrazio questo dono incredibile, questo fastello squillante e favoloso che nei prati del mio cervello senza sosta ballonzola

Marco Rossari rimprovera questi autori di non aver tenuto queste loro debolezze per loro, magari sì, facendole pervenire ai destinatari del ringraziamento, ma in un modo più privato, dove se la spari grossa lo sanno in due al massimo, e non tutti quelli che si ritrovano in mano il testo per cui si ringrazia. Il rischio è che il potenziale lettore si faccia un’idea del libro dal ringraziamento. Allora sarà lui a ringraziare. Grazie ringraziamento, perché uno che ringrazia così non può raccontarmi nulla che mi possa piacere, ipotizziamo noi. 

Conclude con una puntina di compassione invece Rossari, riconoscendo anche che qualcuno riesce davvero a ringraziare:

 Teneramente idioti, fragili, pomposi, fatui, a volte perfino capaci di sincera riconoscenza, gli scrittori ne escono come esseri umani.

 

Grazie al cielo.

 

AM

ps. Noi andiamo sul tranquillo: grazie Marco Rossari 

 

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